La voce dei soldati trecatesi

Lettere pubblicate sul BOLLETTINO TRECATESE 1911 - 1912

Testata del Bollettino Trecatese del 30 dicembre 1911

Bollettino Trecatese del 30 dicembre 1911

Il Natale a Tripoli

La solennità natalizia si è iniziata con una messa all’aperto, celebrata dal cappellano dell’ospedale dinanzi ad oltre cinquemila uomini e ai generali Pecori Giraldi e Lequio. La funzione è stata commoventissima. Tutti i cinquemila soldati si sono inginocchiati al momento della elevazione del Sacramento. Una seconda messa è stata celebrata, verso le 11, dinanzi alle truppe rimaste nelle trincee.

Poi i soldati si sono abbandonati alla gioia della festa, che ha assunto un carattere di straordinaria commovente poesia. Magnifico è riuscito il banchetto dei soldati della gloriosa batteria Vettori. Le tavole erano disposte intorno ai cannoni, inghirlandate di palme e di nastri. Sui cannoni, le cui bocche erano protese in atto di minaccia verso il deserto, erano queste iscrizioni: «Nulla via in via», «Sempre e dovunque».

Da notarsi che a Tripoli i nostri soldati innalzarono alberi di Natale e non avendo piante che loro potessero servire per questo usarono rami di palma intrecciati. Alcuni soldati napoletani fecero anche il presepio.

Ad Ain Zara[1] sembra veramente fiorisca la primavera; a mezzogiorno il termometro segnava 24 gradi all’ombra.

[1] Oasi di Ain Zara.

Bollettino Trecatese del 13 gennaio 1912

Da una lettera di un soldato trecatese scritta da Tobruk alla famiglia il 28 scorso dicembre rileviamo quanto segue:

 Le Feste del Santo Natale qui le abbiano passate benone perchè dall’Italia ci hanno mandati molti regali. In quel giorno, oltre al rancio, abbiamo avuto un panettone ogni sei soldati, una bottiglia di vino ciascuno, cioccolatta, frutta marmellata, una pipa siciliana, e una cartolina che ho scritto al mio compagno Cagnoli.

Qui si sta bene e non c’è da temere nulla. Stiamo anche allegri e facciamo un po’ di teatro.

Ci sono gli areoplani che volano per scoprire il nemico e tra gli aviatori, c’è anche il nostro compaesano Ruggerone[1].

Non ho bisogno nulla perchè i sigari costano poco. I pacchetti di sigarette che lì si pagano sette soldi qui li paghiamo sette centesimi e il tabacco che lì si paga otto lire al Kg qui lo paghiamo lire 2,50, ecc.

V.aff. figlio n. n.

[1] Si riferisce a Ruggerone Germano “Eros”.

Bollettino Trecatese del 20 gennaio 1912

Il buon soldato Guaglio Luigi[1] scrive da Bengasi ai suoi genitori una bellissima lettera dalla quale stralciamo quanto segue:

 …Il giorno 22 di notte ci fu un attacco dei beduini che noi abbiamo respinti con molte perdite loro. Noi non abbiamo avuto nessun morto, furono raccolti i bossoli sparati dai Turchi in numero più di 1500 senza che ferissero nessuno perché le trincee fatte dai nostri soldati sono fortissime ed è gran difficile che i soldati che si trovano alle trincee restino feriti.

Vi faccio sapere anche come ho passato le feste di Natale. Cominciò il bombardamento alle 8,30 la mattina e durò fino alle 5 di sera. La notte la passai alle trincee, ma fu una notte tranquilla senza un colpo di cannone e di fucile.

Abbiamo ricevuto il dono per le feste e di parte mia mi toccò aranci, vino, carta da lettera (un foglio è quello su cui vi scrivo) panettone, paste frolle e fra tutto sono stato contento.

E intanto che i cannoni gridavano e fischiavano in aria verso gli Arabi noi si gridava: Evviva le feste di Natale! Evviva l’Italia! Addio vostro

aff. Figlio Luigi.

[1] Guaglio Luigi Antonio di Giuseppe e di Favino Antonia, nato il 9 aprile 1890 a Trecate. 5° Reggimento Genio Minatori. Bengasi – Rodi – Misurata.

Bollettino Trecatese del 20 gennaio 1912

Un altro coraggioso soldato trecatese, Maggio Maurizio[1], scrive da Tripoli ai suoi genitori:

 …Io mi trovo in buona salute e così spero di tutti in famiglia. Di nuovo qui ora non c’è niente. Solo vi faccio sapere che il giorno del Santo Natale abbiamo sentito la messa nel medesimo posto dove siamo accampati. Terminata la messa, il sacerdote si volse dalla parte dove sono i nostri morti del 26 Ottobre[2] e prese a parlare in modo dei nostri morti che tutti i soldati e gli ufficiali avevano le lagrime agli occhi…

Non dubitate di me che sono in buona compagnia e sono allegro con tutti quanti.

Tanti saluti a tutti, sono il vostro

aff. figlio Maurizio.

[1] Maggio Maurizio nato nel 1889. 14° Reggimento Fanteria. Tripoli.

[2] 26 ottobre 1911 la battaglia di Tripoli.

Maggio Maurizio

Bollettino Trecatese del 27 gennaio 1912

Un soldato Trecatese premiato e distinto a Tripoli. Riceviamo e pubblichiamo:

Tripoli, 13 Gennaio 1912

Padre mio carissimo,

Rispondo alla vostra cara lettera ricevuta ora dalla quale sento che state bene e così posso dire anch’io. Vi faccio sapere che io sono stato messo in votazione con tutti i soldati ed ufficiali della mia compagnia per vedere chi era il graduato più buono e sono stato scelto il primo fra tutta la compagnia! Perciò sono stato chiamato dal mio sig. Colonello che mi ha dato 40 lire di premio e mi fece molti elogi. I miei ufficiali furono molto contenti di me e il mio capitano mi ha regalato questo fregio che vi mando e che vi prego di conservare fino al mio ritorno.

Qui si sta facendo una piccola ferrovia dove lavorano molti granatieri e bersaglieri, quanto alla guerra è quasi un mese che non facciamo più fuoco.

Non posso mandarvi la mia fotografia perché sono lontano da Tripoli e non posso farla fare, ma appena potrò farò di tutto per accontentarvi.

La pace sembra lontana… ma non importa, sopporterò ogni cosa e procurerò di scrivervi al più presto che posso.

Intanto vi saluto e vi bacio tutti e sono il vostro

aff. Figlio Peretti Domenico. [1]

[1] Peretti Carlo Domenico di Giuseppe e di Guaglio Giovanna, nato il 24 settembre 1890 a Trecate. 36° Reggimento Fanteria, aggregato all’84° Reggimento Fanteria. Tripoli.

Bollettino Trecatese del 9 marzo 1912

Riceviamo dall’egregia famiglia Berra la seguente lettera scritta dal figlio Mario[1] combattente in Africa e volentieri la pubblichiamo.

Perché dimostra che l’Amor patrio e l’affetto alla famiglia si combinano mirabilmente nel cuore dei nostri bravi soldati.

Oasi di Tripoli, 28 Febbraio 1912

Cari genitori

Sono in terra dove molte sono le persone che vorrebbero, se potessero, ridurci in pezzi. La loro vigliaccheria eccede ogni limite e, mentre si espongono al fuoco sono capaci di qualunque agguato e tradimento così che non possiamo fidarci mai delle loro azioni. Fortuna per loro che si tengono lontani da un vero attacco decisivo, e dopo la disfatta dei giorni scorsi, hanno abbandonata l’idea di un vero combattimento e cercano colle varie guerriglie di stancare la nostra pazienza.

Ma, al mio debole parere, dovranno pure arrendersi non ostante il loro spirito battagliero e fanatico.

In questi giorni ho avuto molta malinconia per essere lontano da voi, miei cari genitori. Ma mi consolo pensando che al mio ritorno mi troverò più istruito e avrò un’idea giusta ed esatta delle regioni che andiamo conquistando. Vi assicuro che sarò forte sotto ogni aspetto, nei momenti delle battaglie e nei momenti di malinconia. Vi prometto di essere forte contro il nemico e contro i disagi della vita militare. Sono giovane e l’entusiasmo non mi manca, quell’entusiasmo di cui i soldati Italiani danno bella prova davanti al mondo civile. L’Italia segue con ansia e trepidazione i figli lontani ai quali è affidato l’onore della patria.

Ebbene; saprò mantenermi degno figlio d’Italia. E quando tornerò tra le vostre braccia con l’orgoglio di aver fortemente difeso il mio Paese nel più grave pericolo, sono sicuro che mi accoglierete con doppia gioia; la gioia di ricevere sano e salvo un vostro caro e la gioia di stringere al vostro petto un soldato che ha valorosamente combattuto per la grandezza della patria.

State sicuri: il tuono del cannone, non mi scoraggerà, ma vieppiù mi stimolerà a compiere il mio dovere. Tutti i soldati in questi momenti hanno dimostrato di essere utili alla patria ed io dovessi anche spendere l’ultima goccia del sangue che mi scorre nelle vene, non dimenticherò di appartenere a quella famiglia di quei Veneziani che nel 1848 sacrificarono la vita e gli onori per l’unità d’Italia.

Che se non potrò adoperare la baionetta, saprò nella cura dei feriti e nel sacrificio e, nell’adempimento del mio dovere mostrarmi degno figlio d’Italia.

Vorrei parlarvi più dettagliatamente di quello che si é fatto e che si fa qui, ma la mancanza di tempo me lo vieta.

Abbiate ora tutti in famiglia i più affettuosi saluti e baci dal

vostro aff. Mario Berra.

[1] Berra Luigi Mario di Carlo e di Perone Rosa, nato il 25 novembre 1890 a Trecate. I Compagnia Sanità. Tripoli.

Bollettino Trecatese del 16 marzo 1912

Tripoli d’Africa, 4 marzo 1912

 Antonio mio carissimo,

Sono le ore sette di sera, rannicchiato sotto la mia misera tenda al chiar di una candela, lo zaino mi serve da tavolino mentre un compagno mi regge la boccetta dell’inchiostro per poter scrivere. E’ proprio vero che in questi momenti nemmeno nelle ore di libertà si può star tranquilli.

Ecco che alla distanza di poche centinaia di metri si ode la voce di un cannone seguito poi da parecchi colpi di fucileria. Noi tutti usciamo dalle tende. Tra noi regna un gran silenzio. Ouel silenzio però dura pochissimo, subito si riprendono le nostre chiacchere.  E allora chi sarà? Saranno i nostri, sarà il nemico… Nessuno tra noi ne sa distinguere. Pochi minuti ancora e poi si ode la voce di qualche sottufficiale che grida: Ragazzi alle tende. Noi tutti ubbidiamo. Ognuno si ritira nella propria tenda. Dopo brevi chiacchiere, ci addormentiamo sulla nuda terra.

Durante la notte qualche colpo di cannone si ode sempre. Forse saranno i nostri che si assicurano che il nemico non si avanzi. Si sveglia di botto, si domanda che è accaduto? Qualche buffo per far ridere, immerso nel sonno risponde: un colpo di cannone un nemico di meno. Certe volte bisogna ridere!

Ecco che a poco a poco si fa chiaro e se la mattinata è bella subito si innalzano gli aeroplani che vanno in ricognizione.

Ai letto sui giornali dell’ attacco di Homs?

Ora nulla di nuovo qui nei dintorni di Tripoli; solo qualche scaramuccia notturna ma che vengono sempre respinti cagionandogli molte perdite.

Giunga ora gradito il mio saluto a te e a tutti tuoi compagni di Collegio.

Il tuo aff. Mario Berra.

Bollettino Trecatese del 30 marzo 1912

Cisari Giovanni (Gianni). Archivio Cisari Giannina, figlia di Gianni

Dalla famiglia Cisari[1] riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera che dice tutto il valore dei nostri soldati sul campo di battaglia.

Bengasi, 20 marzo 1912

 Carissimo Raimondo[2],

Del combattimento del 12 c.m.[3] avrai già letto notizie. Eccoti qualche particolare: si è incominciato il fuoco di mattino prestissimo e si è continuato fin quasi a sera.

Per ben 4 volte i nostri hanno caricato alla baionetta, e la maggior parte dei nemici (più di mille) è perita appunto per ferite ad arma bianca. Dei nostri abbiamo 38 morti e un centinaio di feriti.

 

Alla sera quando il generale Ameglio, che aveva guidato i soldati a questa grande vittoria, è rientrato in città fu accolto da uno scroscio d’applausi e da “evviva” che corsero per tutti gli accampamenti sollevando un entusiasmo immenso.

Gli arabi di Bengasi guardavano spauriti ed ad ogni soldato che vedevano passare un po’ allegro si affrettavano a tirarsi in disparte ed a gridare: italiano buono! italiano buono!

Canaglia! ci è voluto la baionetta per far capire loro la ragione!

Prima di questo combattimento ci guardavano con una certa aria sorniona che sembrava volesse dire: ancora un poco e poi vi rimandiamo in mare…

Ciau[4], salutami gli amici, fa sapere a mamma che sto bene, ed abbiti un abbraccio ed un bacio dal tuo aff. Gianni.[5]

[1] Famiglia Cisari cfr. sezione pubblicazioni: La Grande Guerra vissuta dai Trecatesi pag.147.

[2] Fratello di Gianni.

[3] 12 marzo 1912: combattimento nell’oasi delle Due Palme, vicinanze di Bengasi.

[4] Dialetto trecatese.

[5] Cisari Giovanni (Gianni) di Pietro e di Quaglino M. Teresa (Marietta), nato il 29 agosto 1890 a Vespolate (Novara), residente a Trecate. 5° Reggimento Genio Minatori. Bengasi – Rodi.

Bollettino Trecatese del 13 aprile 1912

La Pasqua al campo della guerra

La confessione nei fossi delle trincee

Da Henni (Tripoli)

 …Anche noi abbiamo potuto fare la comunione pasquale. Il cappellano militare don Felice Tallacchini venne in mezzo a noi, accompagnato da due altri sacerdoti. Come al solito, furono accolti da noi con festa. Nel pomeriggio don Tallacchini, con la sua parola cara e convincente, c’invitò a compiere il precetto pasquale. Quindi i tre sacerdoti si disposero nei fossi delle trincee stesse ad ascoltare le confessioni. Furono tanto numerose che si protrassero sino alle ore 22.

Quella sera agli occhi miei si presentò un quadro commoventissimo: i soldati, divisi in tre gruppi, erano tutti raccolti sotto un’immagine della Madonna, sospesa ad una caretta da sentinella e illuminate con lanterne da campo.

La Madonna sembrava quasi sorriderci, e invitarci con un amore irresistibile a compiere questo grande dovere cristiano a cui quasi tutti i soldati corrisposero in modo consolante.

Il mattino seguente fu ritardata la distribuzione del caffè per dare comodità ai soldati di fare la S. Comunione.

Verso le ore 7 ritornò don Tallacchini e dopo aver eretto il suo altarino sopra la tomba di un nostro fratello caduto, incominciò la Santa Messa che io stesso ebbi la fortuna di servire. Durante questa fu recitato il S. Rosario e prima della Comunione, don Tallacchini fece un bel fervorino rievocando in modo speciale i nostri fratelli barbaramente trucidati. La funzione finì con una lode alla Madonna cantato da un poderoso coro di baldi giovanotti. Ecco come ho passato la S. Pasqua del 1912: essa forse sarà la più bella della mia vita. Certo non sarei mai immaginato di passare quest’altra bella festa in questo suolo che già tanti sacrifici ci costa…

Auguriamoci che il Signore faccia presto cessare questi dissidi sicché io presto possa rivedere la bella Italia, confortare la mamma mia.

Caporale Pasquale De Marchi[1] del 18° fant.

[1] Il Caporale Pasquale De Marchi non era Trecatese.

Bollettino Trecatese del 27 aprile 1912

Lettera del nostro bravo soldato Mario Berra alla sua famiglia

Pozzi Oasi di Bumeliana – Tripoli d’Africa, 20 Marzo 1912

 Genitori Carissimi,

Evviva Tripoli?… Va bene così ?… Dopo la grande operazione di guerra del 28 ultimo scorso, non abbiamo avuto che calma. Ieri (g. 19) abbiamo fatto un’avanzata di 12 chilometri circa. Oggi siamo rientrati nelle trincee, senza trovar traccia del nemico. Abbiamo però potuto trovare molta roba, come zaini, tascapani, scarpe da riposo ecc… che rubarono dai bersaglieri il giorno 23 e 26 ottobre.

Ci siamo pure battuti altre volte, cioè giorno 17 e 22 febbraio. Più volte gli arabi turchi sono venuti all’assalto alla baionetta contro le nostre posizioni, ma sono stati respinti dal nostro fuoco. Non vi so dire tutto l’onore di quelle ore di fiero combattimento. Per molte ore siamo stati sotto il fuoco nemico che veniva da tutte le parti. Le pallottole dei fucili (maueser) fischiavano sulla nostra testa, ma abbiamo resistito all’impeto del nemico che si presentava numeroso a noi. Ora mentre scrivo regna una gran calma. Di tanto in tanto qualche fucilata risuona ancora, ma ormai ci siamo abituati…

Godo ora una salute più che ottima, così pure spero di voi in famiglia. Vorrei scrivervi più a lungo, ma i minuti di libertà sono pochissimi e mi vietano di continuare.

Credete, quando posso avere qualche notizia da persone care, in questa lontana terra, dalla nostra diletta patria, è un balsamo del mio cuore.

Ed ora sempre col grido di: Evviva la casa Savoia, tipo di sovrumana gentilezza, Evviva l’Italia paese dei fiori…

Vi saluta e vi bacia il vostro

aff. Figlio Mario Berra.

Bollettino Trecatese del 4 maggio 1912

Lettera del bravo soldato Cisari:

Bengasi, 18 aprile 1912

 Carissimo Raimondo,

Ti scrivo queste due righe per farti sapere mie nuove. Oggi parto da Bengasi per destinazione ignota: parte il 57° Regg. fanteria, un battaglione di bersaglieri, una compagnia del I° Genio, 50 uomini del 5° Genio (nei quali sono compreso anch’io) ed una batteria d’artiglieria di montagna. Non sappiamo per ora dove sbarcheremo, ma si spera che sia in un’isola del Mar Egeo o forse a Bomba od in qualche altro punto della costa[1].

A casa non ho scritto perché non ho avuto tempo: ti prego di mandare questa mia, ed intanto dì a mamma di non aver paura ch’io del coraggio ne ho fin troppo, ed ho un’ottima salute.

Appena sbarcato ti manderò nuove dello sbarco e del bombardamento, e scriverò pure a casa mandando il mio nuovo indirizzo; per ora è sempre a Bengasi.

Scrivimi sovente e mandami dei giornali. Ti abbraccio e ti bacio caramente

tuo aff.mo Gianni.

[1] Occupazione del Dodecaneso e Rodi.

Bollettino Trecatese del 1° giugno 1912

I nostri soldati a Rodi

Rodi, 19 maggio 1912

Carissimo Raimondo,

Non ti ho mai scritto, perchè ci era proibita qualunque corrispondenza; mi vorrai quindi scusare questo ritardo involontario. Come ti avevo promesso ti dirò brevemente come avvenne lo sbarco e la conquista dell’Isola.

Siamo sbarcati felicemente il 4, ed il giorno 5 entrammo in Rodi senza sparare un colpo il nemico aveva preferito una prudente e precipitosa fuga, e quanto a questo posso garantirti che sono degli ottimi camminatori! Abbiamo consumato una diecina di giorni nei preparativi necessari ed al 15 di sera sono partito con la colonna Ameglio in cerca dei turchi. Abbiamo viaggiato tutta la notte e gran parte del giorno 16, finalmente ci siamo trovati a contatto con il nemico. I turchi aprirono il fuoco con 4 colpi di cannone ai quali rispose la nostra artiglieria con una grandine di proiettili.

Intanto i bersaglieri e gli alpini che erano arrivati da due punti diversi li circondavano. Quando se ne sono accorti i turchi hanno tentato una sortita disperata, e si sono gettati contro due compagnie di bersaglieri che li han ricevuti con un tal fuoco accelerato da obbligarli a retrocedere. E bada che essi erano circa 1500!

Intanto era calata la notte; col favore dell’oscurità abbiamo fatto un cordone tutto in giro in maniera che più nessuno potesse fuggire. Nella notte stessa si sono arresi 198 soldati con 4 ufficiali, ed alle otto del mattino seguente tutti hanno deposto le armi. 

Tornando al giorno dello sbarco, quando siamo entrati in Rodi, era come se andassimo ad una festa; tutti gridavano Viva l’Italia! Viva Rodi italiana! Dalle finestre piovevano fiori e profumi e le strade erano coperte di rose come quando c’è la processione del Corpus Domini. Qui le persone vestono come noi Italiani: tutta gente buona che ci dimostra ad ogni momento il suo affetto. Per tutti i paesi per cui siamo passati andavano a gara nell’offrirci acqua, fiori, uova, latte… ci hanno dato tutto quello che potevano!

Con me a Rodi c’è pure di Trecate Guaglio Luigi, quel mio amico che conosci anche tu e che era nel mio reggimento a Torino. Ha partecipato anche lui a tutte le operazioni qui nell’isola, e mi incarica di salutarti. Vedessi com’è venuto nero! però ti confesso francamente che sono divenuto più nero io… : siamo i due veri africani del 5° genio.

Tralascio di scrivere perchè si fa tardi e sono stanco. La mia salute è sempre stata ottima come pure quella di Guaglio. Saluta la nostra famiglia alla quale scrivo pure contemporaneamente a te. Ciao, ti bacio caramente

tuo aff. Gianni

Bollettino Trecatese del 1° giugno 1912

Isola di Rodi, 17 maggio 1912

 Carissimi Genitori,

Vengo con queste poche righe a darvi Mie notizie. Di salute sto bene e cosi spero di voi tutti. Vi faccio sapere che dopo una lunga e faticosa marcia abbiamo fatto prigionieri tutti i turchi con due cannoni, due mitragliatrici e molte altre cose. I prigionieri sono più di 1200 e noi abbiamo avuto 4 morti e una trentina di feriti, ma abbiamo portato una bella vittoria e tutta la popolazione è favorevole all’ Italia e al ritorno tutti gridavano evviva l’Italia il giardino della Europa e tutti donne e uomini portavano fuori dalle case acqua, vino, latte per i soldati italiani e anche uova e gettavano in mezzo ai soldati molti fiori contenti della grande vittoria italiana.

Sono arrivato a casa alle 7 di sera e oggi giorno di riposo ho scritto a Giroldi e scrivo anche a voi. Volevo aspettare qualche giorno perché non ho ancora ricevuto il pacco, ma siccome leggete i giornali mi affretto a scrivere subito per assicurarvi che sono sano e salvo. Così anche il mio compagno Cisari che è venuto anche lui alla faticosa marcia e sta benissimo come me. Noi adesso siamo tranquilli come in Italia perchè i soldati turchi di Rodi sono tutti presi. Noi del 5° Genio si dorme in città in una scuola e stiamo benissimo appena avrò ricevuto il pacco vi scriverò di nuovo.

Saluti a tutti e sono il vostro figlio guerriero

Guaglio Luigi

Bollettino Trecatese del 22 giugno 1912

Dalla famiglia Cisari riceviamo e volentieri pubblichiamo:

Isola di Rodi, 1° giugno 1912

Mia carissima mamma,

Approfitto di questi giorni di tregua per mandarti notizie mie nuove e di vecchia data.

Comincerò con una che certo ti farà piacere, perché fu il compimento di un tuo desiderio. Quando ero ancora a Bengasi ho fatto la Pasqua, ed ho ricevuto in dono un libretto di preghiere che conservo come memoria della mia compagna d’Africa.

Domenica scorsa poi sono stato a Messa qui a Rodi e mi sono fermato in chiesa fino alla fine ad assistere alla prima Comunione ed alla Cresima di un gruppo di ragazzetti.

Rodi è una città più bella che Novara: si gode un clima ottimo e c’è acqua buona. Quel che c’è di male è il tifo, ch’io mi auguro di non prendere. Del resto sono sempre stato ottimamente bene. Quando sono partito da Napoli per Bengasi ho sofferto il mal di Mare in una maniera tale che credevo di morire. Il piroscafo era piccolo e vecchio che saltava come una palla elastica. Invece da Bengasi a Rodi ho fatto il percorso sul “Verona”[1] uno dei più grossi piroscafi; anche quando il mare era grosso non ce ne siamo quasi accorti, pareva di essere in terra ferma.

Alla battaglia di Psitos noi del Genio eravamo di scorta al Generale Ameglio; solo che lui era a cavallo e noi a piedi, puoi quindi immaginarti che fatica a tenergli dietro un po’ al passo un po’ alla corsa! Mi pare che quella marcia la sentirò per tutta la vita.

Raimondo mi aveva scritto di mandargli delle mie fotografie che me le avrebbe pagate, ma quando io avevo i soldi, il fotografo non aveva le lastre, e quando questi, aveva le lastre io non avevo i soldi e quindi…  me ne rincresce soltanto, perché avresti potuto vedere che veramente sto bene, ed avresti potuto baciarmi e ricambiare i mille baci che ti mando io ogni giorno.

Salutami zia Clelia e la sua famiglia, baciami i fratelli e conservati all’affetto grande del tuo Gianni.

[1] Il piroscafo “Verona”, l’11 maggio 1918, con a bordo un contingente di circa tremila tra soldati del Regio Esercito ed equipaggio della nave, salpò dal porto di Messina per dirigersi a Tripoli di Palestina. Al largo di Capo Peloso, un sommergibile tedesco UC-52, silurò il piroscafo che colò a picco in meno di mezzora. Un migliaio di soldati perirono nell’affondamento, circa duemila furono salvati da navi italiane accorse e sbarcate nel porto di Reggio Calabria. Tra i Dispersi si registrò anche il trecatese Panigati Ercole cfr. sezione: La Grande Guerra.

Bollettino Trecatese del 10 agosto 1912

Riceviamo e di buon grado pubblichiamo nella sua integrità la lettera di un soldato Trecatese.

Misrata[1], 12 Luglio 1912

Cari Genitori,

Dopo una lunga, pericolosa avanzata sotto le pallottole nemiche, numerose come pioggia, ho l’onore di dirvi che sono arrivato a Misrata sano e salvo. Di salute sto bene e cosi spero sempre di tutti. Vi voglio raccontare la mia lunga fatica.

Appena usciti dalle nostre trincee una cinquantina di metri per portarci su Misrata, fummo salutati con abbondanti fucilate; io ero di riserva, e tanto più, ci avanzavamo tanto più il fuoco si faceva più vivo.

Allora le batterie sparavano accelerato e dopo due chilometri veniva l’oasi di Zuruch[2], dove erano trincerati gli Arabi-Turchi e dove opposero una terribile resistenza, durata quattro o cinque ore. Io mi trovavo dietro gli Ascari alla seconda linea di fuoco, quando ad un tratto mi passò una pallottola distante  due centimetri dal braccio destro, che mi fece un buco nella manica, senza però offendermi; ed uno che stava alla mia sinistra ha preso una pallottola in una gamba, e un mulo carico di cartucce che si trovava a pochi metri di distanza prese una pallottola alla testa che lo lasciò freddo.

Era proprio un disastro! I feriti che si trovavano a terra gridavano ai loro genitori, domandavano il padre e la madre; ed io mi ricordavo di voi, mi ricordai di S. Clemente[3] che mi ha mandato mia madre e temevo proprio che in mezzo a quelle pallottole ci fosse anche la mia, ma la fortuna volle lasciarmi sano e salvo,  forandomi solo la giubba. Poi strisciando sempre per terra, la prima linea di fuoco si trovava a pochi metri dalle trincee nemiche, quando ad un tratto si sentì il grido di Savoia che mise in fuga gli Arabi che lasciavano parecchi morti; l’assalto vien dato  due volte; e allorquando siamo entrati nell’oasi il fuoco veniva più lento, e degli Arabi abbiamo fatto proprio una strage; donne, uomini, piccoli, grandi, tutti si trovavano morti. Dopo qualche chilometro che si marcia nell’oasi, si trova il paese di Zuruch, tutto disabitato con morti dappertutto; tutte le case bucate dai nostri cannoni; si trova solo una quercia di 400 anni, e due o tre vecchie brutte come la notte.

Allora ci avanziamo verso Misurata a grande forza, e gli Arabi non hanno fatto più nessuna resistenza; il loro lavoro era di scappare coi morti in spalla; si occupò Misurata senza nessuna resistenza, anche Misurata è disabitata, vi è solo qualche famiglia di ebrei.

Quella notte io mi fermai a dormire a Zuruch in una casa; e verso le quattro col fuoco del mio moschetto colpisco una donna nera nascosta e la lascio fredda; faccio cascare due Arabi uno morto e l’altro ferito che dopo poco tempo hanno ucciso.

Alla notte si dorme in una casa appena fuori di Zuruch, la notte fu tranquilla. Al mattino siamo avanzati a Misrata tranquilli e distanti un chilometro dalla città vedemmo sventolare il Tricolore sulla caserma turca.

Le perdite nostre sono 150 posti fuori di combattimento, il nemico ebbe una vera strage.

N.N.

[1] Misrata o Misurata. L’8 luglio le navi italiane iniziarono, in concomitanza con l’attacco della fanteria italiana, protetta dallo squadrone di cavalleria, un forte bombardamento sulle trincee nemiche al margine orientale di Misurata. Le fanterie italiane conquistarono prima la località di Ras Zarrugh e poi Misurata, su cui castello fu innalzato il tricolore.

[2] Zarrugh.

[3] Immagine raffigurante San Clemente. San Cassiano da Imola e San Clemente martire sono i Santi Patroni di Trecate.

Bollettino Trecatese del 16 novembre 1912

Tavoletta votiva di Peretti Domenico per grazia ricevuta nella battaglia di Sidi-Behlai, il giorno 20 settembre 1912. Tavoletta conservata presso lo Scurolo dei Santi Patroni, nella chiesa Parrocchiale dedicata a S. Maria Vergine Assunta.

Un reduce glorioso dalla Libia.

È il caporale maggiore Domenico Peretti di Giuseppe. Il simpatico giovane è ritornato fra le gioie e la quiete della famiglia sabato scorso, dopo un anno trascorso laggiù.

Della classe 1890 fu aggregato all’84° reggimento di fanteria ed inviato a Tripoli in tempo per ricevere il battesimo del fuoco nelle terribili giornate del 23 e del 26 ottobre dello scorso anno a Sciara-Sciat.

Riprendeva fiero il combattimento ad Henni, un mese dopo, ed il 4 ed il 5 di dicembre pugnava da valoroso per la conquista di Ain-Zara.

Distaccato a Gargaresch, il nostro Peretti si faceva sempre ben amare da superiori e colleghi; partecipava l’8 di giugno alla presa di Zanzur; sbarcava più tardi col Gen. Garioni a Sidi-Said ed il 6 agosto a Zuara, prendendo di poi parte al combattimento di Redgaline.

Baldanzoso e fiero sempre, per l’invulnerabilità sua, prendeva buona posizione nella battaglia per conquista dell’oasi di Zanzur e disgraziatamente stavolta, nel più folto della mischia, rimaneva piuttosto gravemente ferito con arma da fuoco nella regione addominale destra.

Ricoverato dapprima il valoroso Peretti all’ospedale di Tripoli e di poi a Palermo guariva per fortuna in modo soddisfacente dalla dolorosa ferita, si da poter ritornare fra l’affetto dei suoi cari.

Nel rievocare le gloriose imprese, il bravo giovane pareva riavere l’indomito coraggio lungamente laggiù dimostrato e ci impressionò caramente parlandoci dei nostri soldati Eritrei, gli Ascari, cordiali e buoni, quanto indolenti e malfidi sono gli Arabi.

Al simpatico caporale Peretti i nostri vivi rallegramenti per la brillante sua condotta e cordiali auguri di completo ristabilimento in salute.